Sintesi e personalità di un grande publican… al Lambiczoon di Milano.
Lambiczoon /cambio gestione 2024/ _ Stazioni di Birra _ archivio 2019
I pub sono come le birre: un’estensione di personalità. Nel caso delle birre, la personalità del birraio. Nel caso dei pub, la personalità del publican.
Verità pressoché assoluta. Una delle tante dispensate da un decano della materia, quale Lorenzo Dabove, in arte Kuaska… e che prendiamo come spunto per parlare del Lambiczoon di Milano. Locale birrario tra i più noti e apprezzati d’Italia e non solo.
Apprezzato sin da subito. Sin dal giorno stesso della sua apertura… già per il fatto d’essere un'”estensione di personalità”. La personalità e la storia di un grande publican… anzi due.
Quel 4 novembre 2013 erano veramente tanti i colleghi, gli addetti ai lavori, gli amici di Nino e Alle presenti all’inaugurazione del loro nuovo pub di Via Friuli 46. Tutti a rendere omaggio alla casa milanese del Lambic. Tutti a fare un grosso in bocca al lupo a due stimati e carismatici interpreti del banco mescita (seppur partiti in epoche diverse).
«Era da tempo che pensavo a un locale di sintesi, che potesse contenere un po’ delle cose belle che il mondo della birra mi ha fatto scoprire. Un locale di fine carriera, dove poter proporre senza compromessi tutto ciò che mi è sempre piaciuto fare, mangiare e naturalmente bere. Un locale in una grande città come Milano, facilmente raggiungibile da tutti gli amici di una vita… anche quelli più lontani, che in passato hanno magari avuto qualche difficoltà a venirmi a trovare altrove» ci dice Nino.
«Poi mi venne l’idea di coinvolgere Alessandro Belli… un giovane publican di cui mi accennò per la prima volta il grande Umberto dello storico Goblin Pub di Pavullo. ‘Umbe’ mi parlò di un talento, una forza della natura… che già allora stava facendo cose egregie nel suo Arrogant Pub di Scandiano (poi a Reggio Emilia). L’energia e l’entusiasmo di Alle furono in effetti determinanti per trovare ulteriori stimoli… e fu così che decidemmo insieme di dar vita al Lambiczoon, in società con gli amici Francesco Mino e Paolo Trezzi».
Per capire meglio di chi e di cosa stiamo parlando, dobbiamo fare un passo indietro di oltre vent’anni… a quel 21 ottobre 1996, data in cui Antonio Maiorano – milanese classe ’68, ma di origini pugliesi (Gargano) – inaugura con l’allora moglie Barbara Faraon, lo Sherwood Music Pub di Nicorvo (PV). Uno dei primissimi locali italiani in grado di fare vera cultura birraria… intercettando non solo le grandi birre della tradizione europea (Belgio, Germania, Regno Unito), ma anche l’embrionale mondo della birra artigianale italiana.
«Certo che parliamo di preistoria… però in Lomellina c’era già qualcuno che ne sapeva parecchio. Vengo infatti dalla ‘scuola’ di ‘Fiore’ (Fiorenzo Ruffoni)… che con la sua Birreria Thomasbräu di Garlasco (dal 1983!) ha fatto da palestra alle bevute di molti. Allo Sherwood ho lavorato per circa tre anni con un impianto del distributore Heineken… seppur non abbia mai attaccato Heineken sulle mie spine. Probabilmente sono stato invece il primo ad aver proposto le neonate birre di Teo (Baladin), Agostino (Italiano), Lambrate e Beba».
Una crescita graduale… che tra i momenti più significativi annovera senza dubbio la prima visita di Antonio (per gli amici Nino) in Brasserie Cantillon, a Bruxelles, sul finire degli anni 90. «Fu un colpo di fulmine (la passione per il Lambic). Una nuova frontiera (la fermentazione spontanea). In quel posto senza tempo ci capitai quasi per caso, capendo subito che non sarei più riuscito a farne a meno» ricorda Nino.
«Per Cantillon – e per i pochi produttori di Lambic ancora rimasti – erano anni molto diversi da quelli di oggi. Quel mondo rischiava l’estinzione. Ma c’era già un altro italiano che da quelle parti era di casa… nonché illustre portavoce di tradizioni secolari. Ovviamente parlo del Principe del Pajottenland, Lorenzo ‘Kuaska’ Dabove».
Il publican dello Sherwood intensifica viaggi, contatti ed esperienze. La sua proposta di birre si fa allettante… tanto quanto le ottime pizze che sforna. il pub di Nicorvo – seppur “fuori mano” – diventa un punto di riferimento per la nicchia di appassionati di allora.
«Ricordo la prima visita di Davide Bertinotti, pioniere italiano dell’homebrewing e grande conoscitore della bevanda di Gambrinus. Poi fu la volta di Kuaska, Luca Giaccone (in seguito fu proprio Luca a suggerirmi il nome Lambiczoon) e molti altri… e il resto è storia».
Stava nascendo un Movimento. Il Movimento della Birra Artigianale Italiana… anche se nessuno di quegli attori – homebrewer, birrai, publican e appassionati – avrebbe potuto immaginare il reale impatto di quei primi incontri e confronti (tanto formativi quanto conviviali) su tutto ciò che sarebbe stato negli anni a venire.
Per raccontare questa storia con dovizia di particolari… bisognerebbe scrivere un libro. Qui ci limiteremo a dire che dopo i tanti anni passati allo Sherwood di Nicorvo (tuttora gestito da Barbara Faraon), per Nino arrivò il momento di ritornare a Milano… riuscendo a trovare la voglia di rimettersi in gioco.
«Il mio rientro in città non fu dei più facili, sia per ragioni personali (ho anche dormito per qualche tempo nel pub!), che per l’esigenza di rodare il locale… trasmettendo la nostra passione per l”acido’ a un pubblico che ancora ne sapeva poco e niente. Poi fortunatamente il lavoro ha pagato… anche supportati da chi ha sempre apprezzato le nostre scelte, a partire dagli stessi produttori di Lambic (Cantillon in testa), con cui siamo oramai legati da un reciproco rapporto di stima e amicizia».
Il “Figlio del Lambic” (Lambiczoon in fiammingo significa appunto questo) conta 9 spine e 3 pompe inglesi, montate su un bancone refrigerato… tanto “profondo” (più che lungo) che ci si potrebbe abbondantemente apparecchiare una tavola. 50% di “acide”; il resto è dedicato ad altre tipologie di birra, ad alta e bassa fermentazione… dove spicca l’immancabile Rodersch (in stile Kölsch) del grande amico e socio, Beppe Vento (Birrificio Bi-Du di Olgiate Comasco). Le circa 100 referenze in bottiglia sono quasi esclusivamente dedicate a fermentazioni spontanee e sour beer (anche vintage). Cucina altrettanto di qualità… ma ci fermiamo qua, certi che altre parole sarebbero a questo punto superflue.
«Sono sempre stato piuttosto critico nei miei confronti, ma spero d’aver lasciato comunque qualcosa di buono… in questo mondo di birra e dintorni: la mia passione per il buon bere, per il buon cibo e per la genuina convivialità. Il resto lo fanno gli amici, gli avventori, la gente. Perché – come ha sempre detto il mio amico Umbe – un pub è nulla senza la sua gente».